Vi presentiamo oggi una review che ha lo scopo di delucidare il ruolo della neuroinfiammazione nella SLA e delle strategie terapeutiche che ne possono derivare.
La presentazione clinica della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è eterogenea per quanto riguarda l’età di comparsa e la localizzazione iniziale, il grado di progressione e la sopravvivenza. Evidenze da studi clinici suggeriscono che una disregolazione della risposta immune contribuisca a questa eterogenità. Nonostante la SLA non prenda inizio da alterazioni immunitarie, la progressione di malattia è amplificata dell’attivazione dalla microglia del sistema nervoso centrale (SNC) e da reazioni infiammatorie dei linfociti e dei macrofagi periferici. Tuttavia, studi in pazienti con SLA e in topi transgenici hanno mostrato che queste reazioni infiammatorie presentano una natura duplice, ovvero un’iniziale risposta protettiva (anti-infiammatoria), seguita da una risposta tossica (proinfiammatoria). Questa risposta precoce e la seguente tardiva sono state similmente associate ad altre patologie neurodegenerative, come malattia di Parkinson e di Alzheimer, e rappresentano dei potenziali target terapeutici.
I processi patologici che sottostanno alla SLA sono multifattoriali e riflettono la complessa interazione tra la genetica e i fattori ambientali. Studi clinici hanno mostrato che le mutazioni in geni quali superossido dismutasi 1 (SOD1), TARDBP e C9orf72 compromettano la degradazione di aggregati di proteine e la risposta gliale del SNC e promuovano un danno ai motoneuroni mediato dallo stato proinfiammatorio. Queste mutazioni genetiche sono state anche studiate in modelli murini transgenici e hanno fornito l’evidenza che una diversa risposta infiammatoria possa contribuire alla progressione di malattia, disfuzione dei motoneuroni e morte. A prescindere da quale sia la mutazione che da inizio al danno al motoneurone, nella SLA, i processi patogenetici potrebbero essere simili, cioè meccanismi molecolari simili che convergono portando a una cascata infiammatoria. Pertanto, queste diverse mutazioni genetiche, possono risultare nello stesso fenotipo clinico e differenti fenotipi clinici possono derivare da una mutazione a carico dello stesso gene. La vitalità e la morte del motoneurone sono il culmine di processi sia autonomici del motoneurone che non autonomici mediati dalla glia del SNC e dalla risposta immune periferica innata e adattativa.
Gli avanzamenti nel sequeziamento genomico hanno portato alla scoperta di svariati geni che possono causare la SLA. Molte delle proteine codificate da questi geni mutati compromettono la funzionalità del sistema immunitario e forniscono una importante evidenza che una disregolazione immunitaria contribuisca alla patogenesi della SLA. Una marcata infiammazione all’interno del SNC è presente in pazienti con SLA per mutazioni a carico di SOD1, TARBP o C9orf72. Modelli murinici trangenici hanno mostrato che l’espressione di questi geni mutanti conduce a una patologia assimilabile alla SLA e promuove una disfunzione immunitaria.
Mutazioni di OPTN, TBK1, SQSTM1, TNIP1, VPC e CX3CR1 sono stati riportati come direttamente responsabili della compromissione della funzione dei geni dell’immunità e della promozione della risposta infiammatoria.
Questi geni mutati sono l’evidenza più diretta che i sistemi immunitari del SNC e periferico conducono ai meccanismi infiammatori coinvolti nella patogenesi della SLA. Sono, inoltre, indicazione che l’autofagia (ovvero il processo intracellulare che permette il sequestro, la degradazione e il riciclo di proteine erroneamente ripiegate e di organelli cellulari disfuzionali) e la cascata di attivazione mediata da NF-κB che porta alla secrezione di citochine proinfiammatorie contribuiscono alla patogenesi della SLA.
Modelli in roditori transgenici per i geni menzionati hanno contribuito alla comprensione della patogenesi della SLA. Nonostante non possano ricapitolare la malattia umana, forniscono degli importanti indizi sulla neurodegenerazione in generale e, più nello specifico, le diverse cellule, citochine e chemochine, che contribuiscono all’iniziazione e propagazione della risposta infiammatoria. Questi modelli suggeriscono che la SLA sia mediata da un processo non cellulare autonomo: i motoneuroni sono coinvolti nell’iniziale danno cellulare autonomo, ma la microglia e altre subpopolazioni non neuronali, come i linfociti T periferici e i monociti, sono coinvolti nel processo infiammatorio non cellula autonomo e contribuiscono allo sviluppo della SLA.
La disregolazione dei pathways infiammatori è presente non solo nel 10% di pazienti con SLA e una storia familiare positiva, ma anche nel 90% dei pazienti con SLA sporadica. Questi ultimi hanno, inoltre, aumento dell’infiammazione con microglia e astroglia reattive e monociti e linfociti periferici che infiltrano il SNC. Cosa inizi questa disregolazione immunologica nel pazienti con SLA sporadica non è noto. La citochina infiammatoria IL-6 è secreta da macrofagi attivati e microglia in topi transgenici per SOD1 e in pazienti con SLA. Sforzi per bloccare il segnale di IL-6 con tocilizumab, non hanno portato beneficio nei modelli animali e a benefici non chiari in uno studio pilota condotto su 10 pazienti.
Fino al 2010 non era possibile determinare lo stato di attivazione della microclia senza la biopsia o l’autopsia; con lo sviluppo di marcatori che legano la microglia e l’astroglia attivate, la PET è diventata una valida tecnica per monitorare l’infiammazione in pazienti con SLA in tempo reale.
Investigazioni cliniche sulle terapie cell-based sono state iniziate in pazienti con SLA secondo il razionale che le cellule, sia mesenchimali che progenitori staminali, possano attivare la riparazione neuronale e sopprimere l’attività neurocitotossica. Nonostante questi studi presentino risultati promettenti, sono negli stadi iniziali e non hanno ancora fornito una convincente evidenza di efficacia.
Le cellule mesenchimali staminali deriate dal midollo osseo o dal grasso sono state infuse nel liquido cefalorachidiano (LCR) di pazienti in svariati studi clinici di fase 1. La somminisrazione intratecale è apparentemente più efficacie rispetto ad altre vie di somministrazione e singole infusioni intratecali di cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo sono state sicure e ben tollerate, senza seri eventi avversi, in 14 pazienti in un clinical trial di fase 2. Il potenziale beneficio terapeutico è stato attribuito a un aumento di concentrazione di fattore di crescita neurotrofico disponibile per la riparazione di motoneuroni e la soppressione della neuroinfiammazione per aumento di secrezione di citochine antiinfiammatorie. Due iniezioni intratecali di cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo a 26 giorni di distanza si sono mostrate sicure e ben tollerate in pazienti con SLA. Somministrazione intratecale di cellule staminali mesenchimali derivate dal tessuto adiposo ha provocato dolore radicolare lombosacrale e cambiamenti dose-dipendenti delle proteine del LCR. Tutti questi effetti sono stati riportati come temporanei, tollerabili e sicuri. Nonostante i potenziali benefici attribuiti al potenziamento della secrezione del fattore di crescita neurotrofico, non è stato provato avere benefici quando somministrato individualmente. La stimolazione mediata delle cellule staminali mesenchimali di popolazioni regolatorie di cellule T, potrebbe essere il maggiore meccanismo d’azione dei potenziali benefici. Esse sopprimono i linfoci T proinfiammatori e attivano macrofagi e microglia, tuttavia i linfoci T regolatori sono disfunzionali nella SLA e le loro funzioni soppressive antiinfiammatorie sono conseguentemente diminuite. Nonostante le cellule staminali mesenchimali siano sicure e ben tollerate, rimangono numerose domande oltre alla loro efficia clinica, come quanto possano persistere queste cellule, quanto il loro effetto funzionale duri e quanto di frequente siano necessarie le infusioni.
Una importante direzione futura sarà lo sviluppo di modi efficaci per monitorare la patofisiologia e la progressione di malattia mediata dall’infiammazione. Avanzamenti nel neuroimaging, in particolare nella PET, che possano determinare lo stato di attivazione di astrociti e microglia nell’encefalo e nel midollo spinale di pazienti affetti da SLA e il loro contributo relativo alla patofisiologia e progressione di malattia sono promettenti. Tuttavia, marcatori specifici, il cui potere legante aumenti con la progressione e la severità di malattia e ligandi che possano differenziare la microglia pro-infiammatoria da quella antiinfiammatoria devono essere sviluppati. Inoltre, devono essere superate le limitazioni tecniche del neuroimaging a livello del midollo spinale, che rappresenta il sito maggiore della patologia infiammatoria. Biomarkers che possano monitorare i fenotipi infiammatori dei macrofagi e linfociti T periferici sono, anch’essi, necessari. La funzione soppressiva dei linfoci T regolatori è stata associata con lo stadio clinico dei pazienti in un piccolo studio di infusione autologa di linfociti T regolatori espansi, la definizione delle specifiche molecole che mediano tale soppressione, potrebbe fornire un significativo target terapeutico per rallentare la progressione di malattia.
Immune dysregulation in amyotrophic lateral sclerosis: mechanisms and emerging therapies
David R Beers, Stanley H Appel
https://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422(18)30394-6/fulltext