Gli shunt arterovenosi del midollo spinale (SCAVSs) sono connessioni patologiche tra le arterie del midollo spinale e le vene senza il normale network capillare. Possono essere sub-classificate in malformazioni arterovenose intramidollari (SAVMs), fistole arterovenose perimidollari (PMAVFs) e malformazioni arterovenose spinali metameriche (SVAVMs). Queste lesioni possono condurre a severi deficit neurologici come emorragia, congestione venosa spinale o compressione midollare.
Le strategie per il trattamento di queste lesioni sono discusse in modo controverso in quanto si tratta di patologie rare con trattamenti complessi che possono risultare in complicazioni potenzialmente invalidanti. Il tasso di complicanze riportato in letteratura varia tra il 5 e il 25% senza tener conto della modalità di trattamento. Solo con una comprensione esaustiva della loro storia naturale il rischio associato al trattamento può essere pesato al confronto con la prognosi, conducendo ad un appropriato processo decisionale nel singolo caso. Tuttavia, gli shunt arterovenosi del midollo spinale sono patologie molto rare: secondo le stime più recenti ed esaustive, l’incidenza si attesta tra 1 e 2,5 per milione per anno. Data la loro rarità, pochi studi hanno investigato fino a ora la loro storia naturale.
Il lavoro che vi presentiamo oggi è uno studio osservazionale di una coorte di pazienti consecutivi e non selezionati affetti da shunt arterovenosi del midollo spinale ammessi in tre diverse strutture allo scopo di rivelare la storia naturale di questa complessa malattia, che potrebbe fornire un’importante evidenza per informare il processo decisionale clinico.
Sono stati arruolati 466 pazienti con shunt arterovenosi intradurali spinali sintomatici dei quali è stato seguito e analizzato il decorso di malattia dalla presentazione iniziale, all’occorrenza di deterioramento clinico, il trattamento e l’ultimo follow-up per un periodo osservazionale tra i 36,9 e i 58,8 mesi. La presentazione clinica e i pattern di deterioramento sono stati suddivisi in acuti e graduali. Sono stati calcolati i tassi cumulativi e clinici di deterioramento e i loro fattori di rischio.
Questo è, al momento, il più ampio studio sulla storia naturale degli shunt arterovenosi spinali con la più grande coorte di pazienti. In questa coorte, il deterioramento generale pretrattamento è stato del 30,7% durante l’intero periodo di follow-up. Il tasso cumulativo di degenerazione generale dopo 4 anni è stato del 72,1 %. Da notare che il rischio era più alto al momento dell’insorgenza dei sintomi. Questo dato indica che la storia naturale degli shunt sintomatici è scarsa e pertanto il trattamento precoce è suggerito, secondo l’opinione degli autori.
In modo simile alle malformazioni arterovenose cerebrali, la modalità di insorgenza influenza il decorso clinico degli shunt arterovenosi spinali. Una insorgenza acuta era associata a un più alto tasso di ripresa spontanea, ma era anche il solo fattore di rischio indipendente di un successivo deterioramento acuto. Per contro, la maggior parte dei pazienti con insorgenza graduale della sintomatologia non presentava recupero spontaneo e avevano il più alto rischio di deterioramento graduale. Inoltre, analisi multivariate indicavano che l’on set graduale era il più forte perditore per un futuro deterioramento graduale. La differenza tra on set acuto e graduale, pertanto, differenziava la strategia di trattamento nella struttura degli autori.
La maggior parte dei pazienti che hanno presentato un’insorgenza acuta dei sintomi avevano un’emorragia spinale. Per questi pazienti, determinare la necessità di chirurgia decompressiva di emergenza era la prima sfida per i clinici. I dati degli autori indicano il 77%dei pazienti con on set acuto presentavano un recupero spontaneo favorevole nel breve periodo. Dato il limitato campo operatorio della chirurgia di emergenza che risulta in ematoma e gonfiore del midollo, questo può condurre a un più alto tasso di complicazioni chirurgiche e a un minore tasso di obliterazione del sottostante shunt, pertanto è stato suggerito in lavori precedenti che la chirurgia aperta di emergenza non sia indicata. Tuttavia, visti i dati di questo lavoro in un’ampia coorte di pazienti, gli autori credono che questa conclusione possa beneficiare di un approccio differente. Più del 15% dei pazienti con esordio acuto non hanno presentato recupero spontaneo nel periodo di osservazione di 42 mesi. Fattori predittivi per l'insuccesso del recupero erano mALS iniziale di 43, età di insorgenza maggiore di 28 anni, lesioni medio toraciche e non ventrali. Gli autori presumono che i fattori menzionati riflettano una capacità compensatoria limitata della funzione del midollo spinale o un danno primitivo grave del midollo stesso. Per esempio, la vascolarizzazione del segmento medio toracico è la più debole del midollo e l’ampiezza del canale spinale medio toracico è relativamente piccola rispetto agli altri segmenti, ciò significa che questi segmenti del midollo sono più vulnerabili quando avviene un’emorragia. Quindi, mentre per la maggior parte dei pazienti la chirurgia d’emergenza a cielo aperto non è necessaria, un subset specifico trae beneficio da questa strategia. Il rischio di deterioramento acuto è significativamente aumentato durante i primi mesi dopo un’insorgenza acuta, similmente come per le malformazioni arterovenose cerebrali. Pertanto, anche se una chirurgia a cielo aperto non sia necessaria per la maggior parte dei pazienti con insorgenza acuta, gli autori suggeriscono una embolizzazione endovascolare di un punto debole come gli aneurismi intranidiali per prevenire le susseguenti emorragie.
Per i pazienti con presentazione dei sintomi a insorgenza graduale, il susseguente rischio di futura degenerazione era molto alto, specialmente durante il periodo iniziale dopo la presentazione della sintomatologia e il recupero spontaneo era molto raro. Il meccanismo di questo fenomeno è probabilmente multifattoriale e include: congestione venosa, trombosi venosa progressiva o effetto massa. Tuttavia, questa evidenza ha importanti implicazioni per il trattamento invasivo precoce di questi pazienti, in particolare se possiedono fattori di rischio addizionale per futuro deterioramento. Dato il meccanismo patologico, le complicazioni chirurgiche causate da un ematoma non sono preoccupanti per questi pazienti; perciò, la gestione precoce chirurgica o endovascolare sono consigliate in accordo alle caratteristiche angiografiche e anatomiche delle lesioni.
La differenza nell’angioarchitettura delle SAVMs, SMAVSMs e PMAVs influiscono sulla complessità del trattamento. Pertanto, le differenze nella storia naturale di queste entità sono di interesse. SMAVMs erano precedentemente considerate come le lesioni più instabili data la loro complessa anatomia a nido. I dati degli autori non hanno dimostrato differenze significative nei tre sottotipi di SCAVSs riguardo il rischio di loro degenerazione acuta. Tuttavia, il deterioramento graduale è stato visto essere significativamente più frequente in PMAVFs al confronto con SAVMs e SMAVMs; probabilmente questo sia correlato al fatto che PMAVFs si presentino più frequentemente con congestione venosa piuttosto che emorragia. Al confronto con gli altri due sottotipi, l’angioarchitettura della maggior parte di PMAVFs è relativamente semplice, cosa che correla con un più semplice intervento terapeutico con un più alto tasso di obliterazione e un più basso rischio di complicanze; si propone quindi, che PMAVFs dovrebbero essere trattati nel breve periodo dopo l’insorgenza dei sintomi. Analisi multivariate hanno mostrato che il genere maschile e una più alta età di insorgenza erano fattori di rischio indipendenti per il deterioramento graduale dopo l’on set iniziale. Questo fenomeno non era mai stato riportato e il suo meccanismo rimane non chiaro, tuttavia, questa evidenza potrebbe essere presa in considerazione al momento del processo decisionale. È stato anche trovato che un’ampia proporzione di pazienti che si sono presentati con insorgenza acuta o deterioramento acuto avevano subito un evento che aveva aumentato la pressione intratoracica o addominale. Tuttavia, non è stata trovata una evidenza statistica sufficiente, gli autori ritengono che sia saggio evitare eventi di questo tipo in pazienti portatori di SCAVs.
Emerge, in modo consistente a studi precedenti, che il tasso di complicanze permanenti correlate al trattamento era dell’11,5% e il tasso di deterioramento totale post trattamento annuale era dell’8,4%. Lesioni residue possono aumentare il rischio di deterioramento clinico post-trattamento. Pertanto, la completa obliterazione è l’obiettivo del trattamento di SCVASs, che può essere difficoltoso in alcuni casi. La sfida maggiore dell’intervento chirurgico è di riconoscere accuratamente l’angiorchitettura sotto il microscopio e di determinare il residuo della lesione durante la procedura.
In conclusione, viene proposta la chirurgia a cielo aperto per i pazienti con on set acuto che non presentato fattori di rischio per il recupero spontaneo. Per i pazienti a insorgenza acuta con recupero spontaneo, la chirurgia d’emergenza dovrebbe essere evitata, tuttavia, l’embolizzazione endovascolare precoce può essere considerata per ridurre il successivo rischio di emorragia precoce. Per i pazienti con insorgenza dei sintomi graduale, specialmente per quelli che possiedono fattori di rischio per il successivo deterioramento, la chirurgia precoce o la gestione endovascolare dovrebbero essere effettuati in accordo alle caratteristiche angiografiche e anatomiche delle lesioni.
Natural history of spinal cord arteriovenous shunts: an observational study
Jia-Xing Yu, Tao Hong, Timo Krings, Chuan He, Ming Ye, Li-Yong Sun, Xiao-Dong Zhai, Si-Shi Xiang, Yong-Jie Ma, Li-Song Bian, Jian Ren, Peng-Yu Tao, Jing-Wei Li, Fan Yang, Gui-Lin Li, Feng Ling and Hong-Qi Zhang
https://academic.oup.com/brain/article/142/8/2265/5519987