IMAGE

Pembrolizumab per il trattamento della leucoencefalopatia multifocale progressiva

La leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) è un’infezione cerebrale aggressiva e opportunistica causata dal virus JC (JCV), un polyomavirus ubiquitario presente in più del 50% degli adulti sani come infezione renale latente. Nel contesto dell’immunodeficienza cellulare, JC può andare incontro a riarrangiamento genetico di regioni non codificanti con conseguente trasformazione in virus neurotropo capace di infettare le cellule gliali e causare quindi PML. L’incidenza della morte associata a PML varia dipendendo dalla natura della causa sottostante e sul grado di immunosoppressione. Il successo del trattamento della PML è, al momento molto limitato, e i maggiori sforzi sono stati rivolti alla ristorazione dell’immunità.
La proteina 1 per la morte cellulare programmata (PD-1) è presente sulla superficie delle cellule T e agisce come un regolatore negativo delle risposte immunitarie. La proteina è up-regolata a livello delle cellule immunitarie attivate ed è espressa in modo persistente sulle cellule immunitarie attivate cronicamente, dove il suo coinvolgimento conduce a una progressiva perdita delle funzioni delle cellule T, inclusa la proliferazione e la produzione di citochine e granzima B. La perdita di funzione di questi effettori risulta in una riduzione delle risposte immunitarie antigene-specifiche. Il blocco di PD-1 rinvigorisce l’attività immune antitumorale diretta verso numerosi tipi di cancro. Nel contesto di un’infezione cronica, l’espressione di PD-1 può condurre a una deficitaria clearance virale. Ad esempio, il bloccaggio del pathway di PD-1 in un modello animale di infezione coriomeningitica ha mostrato restaurare le funzioni effettrici delle cellule T, conducendo a una riduzione della carica virale.
L’espressione di PD-1 è up-regolata sulle cellule CD4+ e CD8+ in pazienti affetti da PML ed è specificatamente arricchita sulle cellule CD8+ JCV specifiche. Gli autori hanno osservato un aumento dell’espressione di PD-1 e del suo ligando (PD-L1) nelle lesioni di PML in campioni autoptici. Hanno, inoltre, trovato che i pazienti affetti hanno mostrato una più alta percentuale di espressione di PD-1 sui linfociti CD4+ e CD8+ nel sangue e nel liquido cefalorachidiano (LCR) rispetto ai controlli sani.
Hanno, perciò, ipotizzato che l’espressione della via di segnalazione PD-1 - PD-L1 possa limitare un efficace contenimento o la clearance di JCV e che il trattamento di PML con bloccanti di PD-1 possa rinvigorire l’attività immunitaria specifica antivirale.

8 pazienti adulti affetti da PML sono stati arruolati al National Institutes of Health (NIH) per 2 clinical trials: il Natural History Study of Progressive Multifocal Leukoencephalopathy (ClinicalTrials.gov number, NCT01730131) e il Inflammatory and Infectious Diseases of the Nervous System study (NCT02435810). Tutti i dati presentati nel lavoro sono stati raccolti durante la normale attività clinica e non come parte di un protocollo finalizzato al clinical trial di pembrolizumab. Il farmaco non è stato somministrato allo scopo di trattare il disordine sottostante la PML, ma è stato somministrato a scopo compassionevole.
I pazienti hanno ricevuto pembrolizumab a un dosaggio pari a 2 mg per Kg di peso corporeo, somministrati per via intravenosa, ogni 4-6 settimane, per un massimo di tre dosi. Le valutazioni cliniche sono state effettuate al momento di ciascun trattamento e alla visita di follow-up; hanno incluso esaminazioni neurologiche e determinazione della disabilità usando la scala di Rankin modificata (una scala di valutazione della disabilità a 7 punti con punteggio tra lo 0 -no deficit- a 6 -morte-). I pazienti sono stati, inoltre, sottoposti a test di laboratorio che hanno incluso esami ematochimici con panel metabolico e risonanza magnetica (RM), con una valutazione qualitativa delle lesioni.
E’ stato immunofenotipizzato il sangue periferico e il liquido cefalorachidiano (LCR), DNA genomico di JCV è stato individuato in campioni di LCR tramite PCR ultrasensibile che ha permesso di discriminare le varianti degli archetipi meno patogeni, tipicamente secreti nelle urine, da quelle riscontrate nel sangue, LCR ed encefalo di pazienti con PML. Questo assay ha un limite di detenzione di 10 copie per millilitro e come target le regioni dell’antigene T altamente conservato per l’identificazione e quantificazione delle regioni di controllo non codificanti per il differenziamento delle varianti archetipiche dalle varianti prototipiche.
Per stimare la magnitudine della risposta antivirale, le cellule reattive al virus sono state espanse ex-vivo usando librerie di peptidi sovrapponibili disponibili in commercio derivate dalla superficie degli antigeni virali VP1 e LT, note per essere tra i più rilevanti antigeni di superficie del virus, e conseguentemente, è stato misurato il numero di cellule T producenti citochine.

Il trattamento con pembrolizumab è stato associato a una riduzione del rilevamento di PD-1 sui linfociti del sangue periferico e del LCR. Una completa soppressione dell’espressione di PD-1 non è stata raggiunta nel LCR di nessun paziente, nonostante una diminuzione tra il 33 e l’87% della detezione di PD-1 sulle cellule CD4+ e tra il 38 e il 90% a livello delle cellule CD8+ dopo la prima dose. Le cellule del LCR hanno mostrato una ricomparsa dell’espressione di PD-1 più precoce rispetto alle cellule del sangue (da 4 a 6 settimane vs. da 4 a 6 mesi). Nessuna sostanziale differenza nella conta delle cellule CD3+, CD4+ o CD8+ è stata osservata dopo il trattamento.

Nei mesi precedenti la prima infusione, sette degli otto pazienti hanno presentato un progressivo deterioramento neurologico e la RM ha mostrato un allargamento delle lesioni di PML. Dopo il trattamento con pembrolizumab, cinque degli otto pazienti hanno avuto un miglioramento clinico o una stabilizzazione, la RM ha mostrato corrispondente stabilizzazione o riduzione dell’onere delle lesioni; nessuno dei pazienti ha mostrato una completa sparizione delle lesioni di PML. I cinque pazienti le cui condizioni sono migliorate o rimaste stabili, hanno mostrato una riduzione della carica virale di JCV nel LCR, contemporaneamente associata a un rinvigorimento della risposta immunitaria cellulo mediata in vitro. Quattro di questi cinque pazienti hanno presentato una persistente riduzione della carica virale di JCV e una stabilizzazione clinica, senza ricorrenza di PML tra i 16 e i 26 mesi dopo aver ricevuto l’ultima infusione. I rimanenti tre pazienti non hanno ricevuto alcun beneficio clinico da pembrolizumab. In uno di questi pazienti era già presente una stabilizzazione clinica, radiologica e virologica antecedente il trattamento e la sua condizione è rimasta stabile, senza miglioramento incrementale. Le condizioni degli altri due di questi tre pazienti hanno continuato a declinare e i pazienti sono successivamente deceduti a causa della PML. Il trattamento non ha indotto IRIS (sindrome infiammatoria da immunoricostituzione), così come determinato dalla RM, eccetto che, possibilmente, in un paziente. Un paziente ha avuto la ricorrenza di un rash di psoriasi e uno di un rash di una dermatite non-specifica.

Il trattamento con pembrolizumab non ha avuto evidenti effetti sui disordini ematologici o immuni sottostanti la patogenesi di PML e il miglioramento del disordine primario non sembra verosimilmente spiegare la diminuzione della carica virale di JCV. Tuttavia, questa possibilità non può essere esclusa nel caso dei pazienti che presentavano disordini neoplastici o linfopenici. L’assenza di IRIS in questa serie di pazienti, potrebbe essere il risultato della presenza di linfopenia, che si è mostrata persistere dopo il trattamento con pembrolizumab. Le limitazioni di qualunque conclusione che possa essere derivata da questa serie di casi presentati, include la varietà della patologia sottostante e il grado di immunosoppressione, la mancanza di campioni di sangue e LCR accoppiati prima e dopo il trattamento in alcuni pazienti e il numero limitato di soggetti coinvolti nello studio. Studi e clinical trials condotti in modo sistematico e con una più grande popolazione sono necessari per accertare gli effetti del trattamento della PML con pembrolizumab.

Pembrolizumab Treatment for Progressive Multifocal Leukoencephalopathy

Irene Cortese, M.D., Pawel Muranski, M.D., Yoshimi Enose‑Akahata, Ph.D., Seung‑Kwon Ha, D.V.M., Ph.D., Bryan Smith, M.D., MariaChiara Monaco, Ph.D., Caroline Ryschkewitsch, B.S., Eugene O. Major Ph.D., Joan Ohayon, M.S.N., Matthew K. Schindler, M.D., Ph.D., Erin Beck, M.D., Ph.D., Lauren B. Reoma, M.D., Steve Jacobson, Ph.D., Daniel S. Reich, M.D., Ph.D., and Avindra Nath, M.D.

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1815039

Top