L’invecchiamento è associato con un declino delle funzioni fisiche e cognitive ed è un fattore di rischio maggiore per molti disordini cerebrali, inclusi demenza e altre malattie neurodegenerative. La comprensione dei meccanismi biologici coinvolti nell’invecchiamento è un passo critico verso la prevenzione, il rallentamento e l’inversione di fenotipi correlati all’età. In ragione della sostanziale variabilità interindividuale dei fenotipi associati all’età, esiste un considerevole interesse nell’identificazione di robusti biomarkers di età ‘biologica’, un fenotipo quantitativo che è pensato catturare meglio il rischio individuale di outcome correlati all’età, rispetto all’attuale età cronologica. Numerose modalità di dati sono state utilizzate per generare stime dell’età biologica; queste includono misure di forma fisica (es. forza muscolare), fenotipi cellulari (es. senescenza cellulare), cambiamenti genomici (es. lunghezza telomerica) e meccanismi epigenetici (es. metilazione del DNA).
I meccanismi epigenetici agiscono per regolare l’espressione genetica attraverso modificazioni chimiche di DNA e proteine istone, conferendo pattern cellulari tipo specifici di espressione genica e differenziando marcatamente tra tessuti e tipi cellulari. Esiste un recente interesse nei cambiamenti dinamici dei processi epigenetici nel corso della vita e un numero di ‘orologi epigenetici’ basati su una specifica modificazione epigenetica, la metilazione del DNA (DNAm), che sembra essere altamente predittiva dell’età cronologica. Dato che cambiamenti in DNAm sono conosciuti indicizzare l’esposizione a certi fattori di rischio ambientale (es. fumo di tabacco) che sono associati a malattie dell’età anziana e che DNAm variabile è fortemente associata a un numero di disordini associati all’età, è emerso interesse nell’ipotesi che l’orologio DNAm possa quantificare con robustezza variazioni nell’età biologia. Anche se gli orologi DNAm originali vennero primariamente sviluppati per predire l’età cronologica e non sono ben predittivi di misure di salute clinica, più recenti orologi a DNAm incorporano misure surrogate di età biologica e sono più direttamente focalizzati nel predire la mortalità e la salute. Dato che l’età è un fattore di rischio maggiore per la demenza e altri disordini neurodegenerativi, esiste un interesse particolare nell’applicazione degli algoritmi degli orologi epigenetici a questi fenotipi, specialmente perché DNAm differenziale nella corteccia è stato fortemente associato con patologie, tra cui malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson. Studi recenti hanno riportato un’associazione tra accelerata età DNAm e specifici marker di neuropatologia di malattia di Alzheimer nella corteccia (placche neuritiche, placche diffuse e carico di beta-amiloide). Inoltre, tra gli individui con malattia di Alzheimer, l’accelerazione dell’accelerazione dell’età DNAm è associata con declino della funzionalità cognitiva globale e deficit nella memoria episodica e di lavoro.
Un punto di forza dei numerosi orologi epigenetici esistenti è che funzionano relativamente bene in differenti tipi di tessuti, tuttavia esistono poche ricerche che confrontino l’accuratezza della predizione e i potenziali bias degli algoritmi tra differenti tessuti ed età. Potenziali fattori di confondimento includono cambiamenti differenziale di DNAm con l’età tra i vari tessuti. La risoluzione di questi bias richiede la costruzione di specifici orologi DNAm sviluppati usando dati generati su tipi rilevati di tessuti e includendo un’ampia rappresentazione dello spettro di età.
In questo studio viene descritto lo sviluppo di un nuovo orologio a DNAm specificamente disegnato per l’applicazione in campioni di DNA isolati dalla corteccia umana e accurato nel corso della vita, incluso in tessuti di donatori più anziani (> 60 anni). Gli autori hanno dimostrato che il loro orologio possiede performance migliori dei perditori DNAm esistenti sviluppati per altri tessuti, minimizzando il potenziale per associazioni spurie con fenotipi dell’invecchiamento rilevanti per il cervello.
Gli autori hanno generato un dataset intensivo di DNAm della corteccia umana di un ampio rango di età (n=1397, età= da 1 a 108 anni). Questo dataset è stato separato in campioni ‘training’ e campioni ‘testing’ (training n=1047; testing n=359). Gli estimatori dell’età tramite DNAm sono stati derivati utilizzando una versione trasformata dell’età cronologica sulla DNAm in siti specifici utilizzando un metodo supervisato di machine learning. L’orologio corticale è stato successivamente validato in un nuovo e indipendente dataset corticale (n = 1221, età = 41 a 104 anni) e testato per la specificità in un ampio dataset di sangue (n = 1175, età = 29 a 98 anni).
È stato identificato un set di 347 siti di DNAm che, in combinazione, predice in modo ottimale l’età nella corteccia umana. Questo nuovo orologio ha presentato performance nettamente migliori rispetto a orologi precedenti in dataset corticali addizionali. Queste evidenze suggeriscono che associazioni precedenti tra l’età predetta dalla DNAm e i fenotipi neurodegenerativi possa rappresentare dei falsi positivi risultando da orologi non ben calibrati per il tessuto da testare e per fenotipi che diventano manifesti in età più avanzate.
Esistono numerose potenziali cause della sistematica sottostima dell’età DNAm nella corteccia, specialmente in campioni provenienti da donatori più anziani (> 60 anni), quando vengono usati orologi DNAm esistenti. In primo luogo, potrebbe essere una conseguenza della distribuzione dell’età nei data training usati negli orologi esistenti; questi orologi sono stati derivati usando campioni contenenti una relativamente bassa proporzione di campioni provenienti dal cervello e/o da soggetti più anziani. In secondo luogo, in quanto esiste una evidenza per pattern di DNAm tessuto specifici e tipo cellulare specifici, l’imprecisione osservata potrebbe riflettere una conseguenza di un non buon adattamento del modello tra i vari tessuti. Infine, la relazione tra la DNAm e l’età potrebbe non essere lineare nel corso della vita, pertanto è richiesto un modello non lineare per catturare gli effetti attenuati in campioni più anziani.
In conclusione, è emerso che i precedenti orologi epigenetici sottostimano sistematicamente l’età in campioni più anziani e non hanno così buone performance in tessuto corticale umano. Gli autori hanno sviluppano un nuovo modello di età epigenetica specifico per la corteccia umana. Di fondamentale importanza, è emerso che la distribuzione dell’età e il tipo di tessuto campione incluso nel dataset training devono essere considerati quando si costruiscono e si applicano algoritmi di orologi epigenetici a coorti epidemiologiche o di malattia.
Recalibrating the epigenetic clock: implications for assessing biological age in the human cortex
Gemma L. Shireby, Jonathan P. Davies, Paul T. Francis, Joe Burrage, Emma M. Walker, Grant W. A. Neilson, Aisha Dahir, Alan J. Thomas, Seth Love, Rebecca G. Smith, Katie Lunnon, Meena Kumari, Leonard C. Schalkwyk, Kevin Morgan, Keeley Brookes, Eilis Hannon and Jonathan Mill
https://academic.oup.com/brain/article/143/12/3763/5942151