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Deficit cognitive e alterato metabolismo cerebrale di glucosio nello stadio sub acuto di COVID-19

Durante la pandemia della sindrome respiratoria severa acuta da coronavirus 2 (SARS-CoV-2), l’insorgenza di sintomi neurologici si è sempre di più spostata nel focus di interesse. Complessivamente, tra il 37% (pazienti ospedalizzati) e l’84% (trattamento in unità di terapia intensiva – UTI) dei pazienti affetti da COVID19 mostrano sintomi neurologici e questi sintomi non sono limitati a un decorso severo di malattia. In linea con queste osservazioni, elevati livelli sierici di markers di danno assonale (proteina neurofilamento a catena leggera) e di attivazione astrocitaria (GFAP) sono stati individuati in casi di COVID19 da lievi a moderati e da moderati a severi, indicando un effetto a livello del sistema nervoso centrale (SNC). Oltre a infarti cerebrali embolici e coinvolgimento dei nervi periferici, il 20-70% dei pazienti con COVID19 mostra un disturbo qualitativo o quantitativo della coscienza durante la fase acuta. Encefalopatie peri infezione possono condurre a deficit cognitivo o passare a demenza come osservato anche in passate epidemia da coronavirus. La propensione neuroinvasiva del betacoronovirus umano è stata descritta ripetutamente. Disfunzioni olfattive e gustative, che occorrono fin nell’85% dei pazienti, potrebbero indicare transito del virus nel SNC, come dimostrato in modelli murini di infezione da coronavirus. Inoltre, la risposta infiammatoria sistemica all’infezione da SARS-CoV-2 può scatenare una tempesta citochinica che può alterare i processi omeostatici a livello del SNC in modo simile all’encefalopatia settica.
Guidati da queste considerazioni e con l’intenzione di valutare l’impatto dell’infezione daSARS-CoV-2 a livello del SNC, gli autori hanno esaminato pazienti affetti da COVID-19 ospedalizzati in stadi subacuto per disturbi del gusto, dell’olfatto e di altri segni neurologici. Lo stato cognitivo è stato testato con il Montreal Cognitive Assessment (MoCA). Pazienti che mostravano più di un sintomo neurologico (52) erano elegibili per indagini ulteriori: una batteria di test neuropsicologici, analisi del liquido cefalo rachidiano (LCR), RM strutturale e PET con fluorodesossiglucosio (18FDG) per valutare il metabolismo del glucosio cerebrale regionale. La PET 18FDG non è solo un ben stabilito marker di funzione e danno neuronale, ma anche di infiammazione del SNC, anche in assenza delle caratteristiche tipiche alla RM. Utilizzando questo approccio multimodale, gli autori si sono posti l’obiettivo di caratterizzare in modo comprensivo le sequele neurologiche del COVID-19 in un sottogruppo di pazienti sufficientemente severi da richiede ospedalizzazione.

Pazienti (età > 18 anni) che hanno richiesto ospedalizzazione primariamente per complicanze non neurologiche sono stati screenati tra il 20 aprile 2020 e il 12 maggio 2020. I pazienti sono stati inclusi nella coorte se presentavano almeno un sintomo neurologico (definito come deficit gustativo e/o olfattivo, performance <26 al MoCA e/o evidenze patologiche all’esame neurologico). Pazienti con 52 nuovi sintomi sono risultati essere elegibili per esami diagnostici ulteriori utilizzando test neuropsicologici, RM e PET con 18FDG cerebrali non appena l’infezione non fosse più presente. Criteri di esclusione sono stati: diagnosi precedente di deficit cognitivo, malattie neurodegenerative o trattamento in UTI. Dei 41 pazienti COVID-19 sottoposti a screening sono stati inclusi nel registro. Più frequentemente, erano disturbati il gusto e l’olfatto in 29/29 e 25/29 pazienti rispettivamente. MoCA era deficitario in 18/26 pazienti, con enfasi sulle funzioni cognitive frontoparietali. Questo è stato confermato da dettagliati test neuropsicologici in 15 pazienti. PET di 18 FDG ha rivelato risultati patologici in 10/15 pazienti con predominante ipometabolismo frontoparietaale. Questo pattern è stato confermato con un campione controllo utilizzando analisi voxel, che ha mostrato alta correlazione con le performance al MoCA. L’esaminazione post morte di un paziente ha rivelato attivazione della microglia della sostanza bianca, ma non segni di neuro infiammazione.
La performance al test MoCA è stata deficitaria in 18 di 26 pazienti testati. Questo indica che oltre l’affezione dei nervi cranici e altri sintomi neurologici che erano stati riportati in precedenza, i deficit cognitivi sono presenti in molti pazienti COVID-19 che richiedono ospedalizzazione. Con un punteggio medio di 21,8/30, il MoCA indica deficit cognitivo da lieve a moderato in questa coorte. Ad un primo sguardo, questa evidenza potrebbe essere una conseguenza non specifica di una riduzione generale in pazienti critici. Tuttavia, l’orientazione e le abilità linguistiche al MoCA erano in linea con i soggetti sani, mentre memoria e item esecutivi erano più severamente colpiti, cosa che rende una degenerazione generale improbabile. L’estesa batteria di test neuropsicologici corrobora il declino della memoria e delle funzioni esecutive, ma non dell’attenzione generale o della velocità di processamento. Questo pattern specifico può difficilmente essere spiegato da fattori non specifici come fatica. È anche differente dal deficit cognitivo post sepsi, nel quale sono anche deficitarie attenzione e velocità di processamento. Questo suggerisce un coinvolgimento delle aree corticali frontoparietali. Inoltre, i test neuropsicologici estensivi e la PET con 18FDG sono stati eseguiti, in media, un mese dopo l’esordio dei sintomi, in un tempo in cui i pazienti avevano superato i sintomi acuti di COVID-19 (inclusi complicazioni polmonari e fallimento di organi) ed erano vicini a essere dimessi dall’ospedale.
Gli autori hanno utilizzato la PET con 18FDG per dipanare i correlati neuronali del declino cognitivo in pazienti COVID-19: nel 2/3 dei pazienti è stato individuato ipometabolismo frontopairetale. È stato inoltre osservato un apparente aumento di uptake di 18FDG nello striato in alcuni casi, cosa che, in ogni caso, probabilmente riflette uno shift verso strutture preservate (ipermetabolismo relativo in caso di ipometabolismo corticale). È stato individuato un altamente significativo pattern di covarianza spaziale caratterizzato da pesi positivi nel tronco encefalico, cervelletto, sostanza bianca e strutture mesotemporali e pesi negativi in aree neocorticali. L’espressione di questo pattern era altamente correlata +con la funzione cognitiva misurata dal MoCA. Di nota, non è stata individuata una chiara evidenza di ipermetabolismo regionale, possibilmente indicando infiammazione cerebrale. Studi futuri con ligandi specifici potrebbero fornire nuove informazioni su una possibile affezione infiammatoria del SNC.
In contrasto con l’imaging PET, la RM non ha rivelato importanti anomalie alle immagini strutturali o di perfusione. Tuttavia, 4/13 scans hanno mostrato infarti microembolici subacuti. Solo un paziente ha mostrato segni di ischemia cerebrale e la distribuzione della menzionata piccola e asintomatica lesione non può spiegare né il deficit cognitivo, né il pattern di ipometabolismo cerebrale. Segni acuti di risposta infiammatoria locale scatenata da fattori sistemici, come anomalie della perfusione, erano assenti in questo studio, possibilmente perché si erano già risolte al momento dell’esecuzione delle prove di imaging.
Un ampio spettro di sindromi neuronali, incluse encefalopatie, sindromi encefaliche, encefalomieliti acute disseminate con emorragia e cambiamenti necrotici, mieliti trasverse o sindrome di Guillain-Barrè, sono state associata a COVID-19. Questa varietà di manifestazioni punta a differenti meccanismi patofisiologici sottostanti indotti dall’infezione da SARS-CoV-2. A parte il danno virale diretto, infiammazione post-infezione, produzione di auto-anticorpi anti-neuroni, vasculiti. Iperinfiammazione da citochine e complicazione cerebrali di ipossia e coagulopatia sono state proposti. In questa coorte, la RM cerebrale non ha rivelato nessun segno di demielinizzazione o lesioni vasculitiche e la mancanza di un chiaro ipermetabolismo regionale va contro una encefalite attiva. Le evidenze emerse indicano che un’attivazione dell’immunità innata potrebbe essere una valida spiegazione per la disfunzione corticale, che conduce a ipometabolismo cerebrale e deficit cognitivo.

Cognitive impairment and altered cerebral glucose metabolism in the subacute stage of COVID-19

Jonas A. Hosp, Andrea Dressing, Ganna Blazhenets, Tobias Bormann, Alexander Rau, Marius Schwabenland, Johannes Thurow, Dirk Wagner, Cornelius Waller, Wolf D. Niesen, Lars Frings, Horst Urbach, Marco Prinz, Cornelius Weiller, Nils Schroeter and Philipp T. Meyer

https://academic.oup.com/brain/article/144/4/1263/6209743

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